martedì 10 dicembre 2013

Scegliere di essere padre. #buongiorno

Ore 8:00, 671, direzione Autostazione.
Solito caos di studenti svogliati e casinari. Riesco a sedermi, ringrazio la mia buona stella vista l'andatura "ondeggiante" dovuta al tacco che fa tanto professionista e mi guardo attorno.
Papà, bimbo di al massimo 1 anno in braccio alla mamma, e lei.
Occhi azzurro cielo, grandi, enormi. Avrà avuto al massimo 5 anni, seduta composta sul suo seggiolino. Assonnata.
Si è addormentata diverse volte durante il viaggio e si è sempre svegliata con un bacio.
Del suo papà, in bilico in mezzo al corridoio, con un passeggino che diciamolo, "comodità 0", che appena notava "occhi cielo" sdondolare le piantava un bacio in fronte e cantilenava "Tutto bene amore?"
" Sì, papà" e lei si riappisolava.
Tutta questa manfrina per esprimere un concetto semplice ma non scontato (nel mio caso sì, ma io sono la classica figlia innamorata di suo padre e non faccio testo ♥)
Essere mamme, sentirsi legati ai propri figli, è qualcosa che nasce dentro, naturale. Sentirli crescere, muovere, vedere il mondo con priorità diverse è un percorso più o meno difficile, ma innato. Almeno credo.
I papà, anche i più presenti, non riusciranno mai a capire cosa si prova veramente, fino in fondo, in quei momenti; è la natura che non lo permette.
Vedere papà come il mio, come quello di stamattina, che scelgono ogni giorno di amare i propri figli è meraviglioso. E' una scelta continua di amore.
 
"Questo è amore. Lui ama" (Semicit.)

martedì 16 aprile 2013

"Bulimia narrativa"


Si può soffrire di "bulimia narrativa"?
Dell’insensata voglia, dopo le prime righe di un libro che ti cattura e ti tiene stretto a se, di leggerlo tutto di un fiato passando notti in bianco mangiando e camminano per strada finirlo e poi.
Nulla.
Il vuoto più totale, una voragine dentro che gli uomini definirebbero banalmente “sindrome pre-mestruale”, ma che con gli ormoni nulla centra.
La sensazione di panico, il pianto rimandato in gola e la consapevolezza guardandosi allo specchio che sì, non si è tanto normali.
Senza scadere banalmente nell’autoanalisi e nello studio di tutto ciò che finisce in –onscio, a memoria ne ho sempre sofferto.
Da bambina leggevo compulsivamente un libro dietro l’altro: a volte mi svegliavo nel sonno e accendevo la luce sul comò e alle tre di notte mi mettevo a leggere, sperando che i miei genitori non fossero svegliati dal minuscolo bagliore intruffolatosi sotto la porta.
Nessuno capiva, io in primis, perché, terminato un romanzo o un libretto dei “Piccoli Mostri”, dovessi immediatamente iniziarne un altro.
Ho attraversato fasi di “anoressia”, quando iniziare un libro è impossibile e tutte le scuse, gli impegni e i pensieri, sono ottime giustificazioni per non farlo.
Trovare il giusto compromesso vorrebbe dire raggiungere l’equilibrio tra la necessità di immedesimarmi in storie, l’amore per lo stile di scrittura di un autore, la sensazione di estraneazione e rilassatezza che genera isolarsi fra le pagine di un vecchio libro usato e il totale rifiuto ad avvicinarmi anche solo ad una libreria.
Sono momenti che ciclicamente si ripresentano.
Metafore ormai più reali degli stessi sentimenti ed emozioni che dovrebbero celare o spiegare.
Mettere nero su bianco queste sensazioni dopo anni di “malattia”, può essere il primo passo per l’agognato bilanciamento delle stesse?

P.S.: Come dice il detto "chi non muore si rivede", da oggi non mi nascondo più. Non sarò Salinger ma non ambendo al Pulitzer posso continuare a scrivere serenamente. Benvenuti o bentornati.